SPRECHI
Da sempre mi piace studiare le persone, capire la loro mappa del mondo, il loro modo di vedere la vita e di viverla. Ho molti amici e molte conoscenze, e con estrema curiosità osservo il loro comportamento e ascolto il loro modo di ragionare. Vedo e sento sempre più spesso persone imprigionate nelle loro paure, fobie, ossessioni, o comunque comportamenti patologici e disagi psicologici che, anche quando non sono invalidanti, sono fortemente limitanti. Molte di queste persone non fanno assolutamente niente per uscirne, per cambiare, o che, come criceti, girano incessantemente sulla stessa ruota, consumando energie inutilmente e restando sempre allo stesso punto.Io, che lavoro incessantemente su me stessa da quando sono adolescente, talvolta anche eccessivamente, cercando sempre nuovi percorsi, nuove soluzioni, nuove idee, mi sono sempre chiesta il perché. So quanto sia terribile stare male, e mi sono sempre chiesta come a queste persone a un certo punto se non arriva la spinta per andare verso un benessere, non arrivi almeno quella per fuggire da quel malessere. Credo di aver trovato una risposta, magari una delle tante possibili, quando recentemente mi sono soffermata a pensare a quanto sia prezioso per me il tempo. Credo che molte persone non vogliano cambiare, non vogliano liberarsi delle loro patologie, proprio per non rendersi conto di quanto tempo hanno sprecato e di quanta vita hanno sacrificàto in nome di una patologia, o comunque di un comportamento disfunzionale. Talvolta è più facile raccontare a se stessi che il proprio modo di vivere è quello giusto o comunque l'unico possibile, piuttosto che ammettere che la propria vita è stata per molti versi un percorso tortuoso fallimentare e che invece, con un po' di impegno, avrebbe potuto essere un percorso rettilineo e produttivo. Non tutti siamo in grado di sopravvivere alla rabbia e alla disperazione che possono sopraggiungere quando finalmente si aprono gli occhi e si capisce cosa e dove abbiamo sbagliato, e perché. Non tutti siamo in grado di accettare la responsabilità della propria vita e capire che avremmo potuto fare qualcosa di diverso se solo ne avessimo avuto il coraggio. È molto più facile dirsi che questo è stato il nostro destino e che sì, ci abbiamo provato, ma non ci siamo riusciti. Una cosa è l'accettazione del proprio carattere, della propria indole, dei propri limiti, delle proprie paure. Un'altra è la rassegnazione. Accettarsi non significa rassegnarsi. Accettarsi significa volersi bene, e il volersi bene implica anche impegnarsi per migliorare se stessi e la propria qualità di vita. Perché poi, alla fine, di questo si tratta. Vivere la vita che ci è stata donata nel miglior modo possibile, e cercare di non sprecarla.
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