domenica 24 novembre 2013

UN BICCHIERE VUOTO



Ricorre oggi un anno dalla scomparsa del mio adorato coniglietto nano, Sanyu, che mi ha fatto compagnia per 13 anni. Ricordo come se fosse oggi l'immenso dolore e la sensazione di vuoto dei giorni a seguire. Un vuoto che non si è più colmato, nonostante la concreta pienezza della mia vita. Lo scorso Agosto avevo deciso di prendere un altro coniglietto. Siamo a fine Novembre, e ancora non l'ho preso. Le scuse, le giustificazioni, anche plausibili e fondate, sono molte. Per esempio, il fatto che viaggio spesso, che il weekend sono spesso fuori Roma, che durante la giornata non ci sono mai e che quindi il piccolino rimarrebbe troppo solo. Oppure il fatto che, da buon roditore, rosicchierebbe tutto quello che gli capita a tiro esattamente come fece da cucciolo Sanyu, e avendo io restaurato casa da poco e messo mobili, tappeti, tende e divani nuovi temo per la loro incolumità, o per quella del coniglio stesso nel caso mordesse i cavi elettrici di apparecchi elettronici di ogni tipo. La verità, però, è una sola. La giustificazione, o meglio l'alibi, ha un solo nome: PAURA. La paura della responsabilità a cui inevitabilmente si va incontro quando si ama e quando ci si deve prendere cura di qualcuno. La paura di aprire nuovamente il cuore a un esserino che prima o poi ti abbandonerà, la paura di un impegno quotidiano che richiede quella costanza che solo le grandi passioni e i grandi amori sono in grado di generare. La paura di non essere all'altezza del compito, la paura di non poter garantire il mio amore costantemente, ogni singolo momento della mia vita. In una parola, la paura di amare. Ricordo bene, come ho detto, il vuoto, la sensazione di abbandono, che ho provato il giorno che Sanyu è mancato. Ricordo anche bene però (e non voglio e non posso vigliaccamente negarlo) la sensazione di liberazione da un impegno e da una responsabilità che mi avevano accompagnata per 13 lunghi anni. Ricordo la meravigliosa sensazione di libertà, quella mia amata libertà, agognata e rincorsa tutta la vita, ottenuta a prezzi talvolta altissimi. In certi momenti, specialmente gli ultimi due anni, era faticoso accudire Sanyu. La presenza di quel povero esserino ormai molto anziano e malandato mi procurava più preoccupazioni e angosce che gioie. Mi guardo indietro, molto indietro, e scopro che, a ben guardare, è la stessa sensazione che ho avuto da bambina con i miei genitori. Fin da piccola, per la malattia che ha colpito mia madre quando avevo soli sette anni e che l'ha portata alla morte, e per la temporanea dipendenza dall'alcol di mio padre e tutti i suoi continui problemi di salute psicofisici che lo hanno accompagnato tutta la vita, ho sempre associato all'amore oneri, impegni, fatica, sofferenza, responsabilità, sacrifici e mancanza di libertà, mancanza di aria, senso di soffocamento, paura. Paura della perdita, paura dell'abbandono, paura della responsabilità, paura della sofferenza, paura di soccombere a qualcosa di più grande di me, paura della fatica emotiva, paura di non essere all'altezza di un compito troppo difficile. Paura e basta. E la paura altro non è che il sentimento opposto all'amore. La paura è il vuoto. E' un bicchiere vuoto che solo l'amore può riempire. Avere coraggio nient'altro vuol dire che avere cuore, quindi amore. L'unico vero antidoto contro la paura è l'amore. Solo sintonizzandoci sulla frequenza dell'amore possiamo uscire dalla frequenza della paura.  I brividi di paura non sono altro che brividi di freddo al cuore, all'anima. Sanyu ha vissuto per 13 anni come un re. Il veterinario lo chiamava Highlander e mi ha sempre detto che, al di là di un innegabile DNA particolarmente fortunato, sicuramente il piccolo esserino aveva ricevuto molto amore, ed era evidente dal suo carattere, oltre che dal suo stato di salute. La vita che ho fatto in quei 13 anni non era poi tanto diversa da quella che faccio ora: sempre con la valigia in mano, sempre amante dei viaggi e in partenza per vacanze anche lunghe, sempre fuori dalla mattina alla sera, sempre super impegnata. Ma mai ho fatto mancare qualcosa a Sanyu, mai mi sono dimenticata di lui, mai sono stata incapace di prendermene cura, mai mi sono sentita non all'altezza di un simile compito. Né mai mi sono limitata nel godermi la vita e nel prendermi impegni di ogni tipo, lavorativi, sociali e personali. E' stato facile amarlo e prendermi cura di lui, tutto sommato. Adesso, voltandomi indietro, vedo solo fatica, impegno e responsabilità, ma quello che ho visto e provato per 13 anni era amore, quell'amore che in questo periodo della mia vita non riesco a ricordare e provare perché troppo spaventata da tutto.  La paura tende a farci dimenticare la nostra capacità di amare. Il bicchiere vuoto genera una sete che possiamo placare  solo amando. Spero di ritrovare presto il coraggio di riempire quel bicchiere, spero che il cuore abbia la meglio. Spero che la luce della mia Anima faccia scomparire il buio dell'Ego. E dicendo la parola 'spero', so che sto continuando a fare un errore. Devo solo decidere, non sperare. Dipende solo da me. A chi in questi mesi mi ha detto: 'Pensavo di regalarti un coniglietto ma poi non l'ho fatto perché non volevo costringerti', va il mio grazie. Sarebbe una sconfitta amare per imposizione, perché qualcuno ha scelto per me. Si ama perché si sceglie di amare, e  la scelta è e dev'essere mia. Devo solo scegliere. Come sempre, come ognuno di noi in ogni istante della propria vita.




giovedì 21 novembre 2013

CARÒN DIMONIO

Certe volte mi chiedo che ruolo abbiamo nelle vite altrui, a prescindere dai ruoli 'apparenti' di amico, amante, partner, coniuge, collega, collaboratore e così via. Mi è capitato spesso di pensare che siamo 'traghettatori di anime', come Caronte. Penso che il nostro scopo sia quello di accompagnare qualcuno ad attraversare un fiume da una sponda all'altra, laddove il fiume rappresenta un percorso interiore di qualche tipo, forse difficile per quella persona, che ha bisogno del nostro aiuto, come noi abbiamo bisogno talvolta di quello altrui. Capita talvolta di 'sentire', nel profondo, che quel percorso, con quella persona, sia essa un amico o un partner, è finito, pur non essendo finiti i sentimenti reciproci. Capita di sentire intimamente che l'uno non può più aiutare l'altro nella rispettiva crescita, che il contributo reciproco è esaurito, oppure che il percorso deve essere modificato, e che solo apportando quelle essenziali modifiche il rapporto potrà continuare. Possono essere anche modifiche piccole, semplici e apparentemente insignificanti, grazie alle quali lo stesso rapporto è in grado di rinascere come se fosse un rapporto nuovo, perché di fatto lo è, a tutti gli effetti. È un percorso nuovo di zecca, mentre il percorso vecchio è finito e dobbiamo comunque dirgli addio. Un po' come quando siamo costretti a reimpostare il navigatore per improvvisi lavori in corso o per un incidente stradale che ostacola la strada che stiamo percorrendo. Se riuscissimo a non permettere al nostro Ego di intromettersi nel sentire della nostra Anima, tormentandoci con i suoi dubbi, i suoi perché, le sue disperazioni, le sue paure, il suo non accettare l'impermanenza dell'Universo, il suo trattenere, la sua incapacità di lasciar andare, capiremmo che ogni rapporto umano ha il suo percorso, il suo fiume da attraversare.. A volte il viaggio è breve, a volte è più lungo, a volte prevede alcune soste o qualche cambiamento di rotta, qualche passo indietro prima di farne altri avanti. E ha un suo inizio e una sua fine. Come tutti i viaggi. Se accettassimo di buon grado questo concetto, non ci rattristeremmo più per la fine di un'amicizia, di un amore, di un rapporto qualunque. Scomoda e fastidiosa per il nostro Ego, la figura di Caronte, ma nobile per la nostra Anima. Sta a noi scegliere se accettarla o meno, se farci pace o continuare a rifiutarla, se vederla in noi e negli altri, o negare la sua esistenza. A noi la scelta, come sempre, del resto.

mercoledì 13 novembre 2013

VITA TUA VITA MEA

Quando abbiamo un avversario, un rivale, un antagonista in qualsivoglia ambito della nostra vita (il post me lo ha ispirato un dibattito politico di qualche giorno fa, ma l'argomento può riguardare qualunque settore anche non lavorativo), il nostro primo istinto è quello di distruggerlo. Non potendolo eliminare fisicamente (sono da sempre convinta che se l'omicidio fosse legale oppure se avessimo l'assoluta certezza di non essere mai scoperti la popolazione si dimezzerebbe in un attimo) tentiamo di distruggerlo nella nostra mente. Ne cogliamo abilmente i difetti (fisici, caratteriali, professionali che siano), li analizziamo uno ad uno, li ingigantiamo se possibile, cerchiamo di focalizzarci solo e soltanto su quelli, riuscendo talvolta persino a giungere alla conclusione illusoria che questa persona non possa competere con noi perché inferiore. Purtroppo, però, alla prima occasione, il rivale che abbiamo così abilmente ucciso nella nostra fantasia risorgerà come l'araba fenice e ci mostrerà ancora una volta la sua abilità competitiva. A quel punto ci chiediamo cosa c'è che non va in noi, perché non riusciamo ad avere la meglio, dove abbiamo sbagliato, e dove continuiamo evidentemente a sbagliare. Semplice. L'errore sta proprio nel tentativo di distruggere l'avversario. Un errore madornale. A parte il fatto che credo fortemente in un pensiero sistemico dove il concetto 'mors tua, vita mea'  è altamente disfunzionale per il raggiungimento di obiettivi e nuoce anche e in primis a noi stessi, ritengo poi che la prima cosa che dovremmo fare è riconoscere le abilità di questo presunto avversario, le qualità, i meriti, l'astuzia, e soprattutto, una cosa su tutte: il carisma. Perché se una persona ha molto successo, se ne ha più di noi, e magari non ha più qualità o meriti di noi, vuol dire che ha carisma. Forse noi non riusciamo a vederlo, forse su di noi non ha effetto, forse lo sottovalutiamo, o molto più probabilmente non lo vogliamo vedere. Riconoscere e accettare il carisma di quelli che detestiamo, che temiamo, che invidiamo, che hanno più successo di noi, o con i quali siamo comunque in competizione, è il primo fondamentale passo per sconfiggere il loro potere, che comunque, tengo a ripeterlo, secondo me non ostacola in alcun modo il nostro. Riconoscere e accettare il loro carisma vuol dire individuare la chiave del loro successo, il loro biglietto da visita. Tentare di sfondare le porte a spallate cercando di distruggere chi è già entrato è faticoso e molto spesso inutile, meglio trovare le chiavi con cui altri sono riusciti ad aprirle e cercare di farne una copia per noi. Oppure, meglio ancora,e lì sta la differenza tra la persona carismatica e chi tenta solo di emularla, riuscire a cambiare la serratura e trovare una chiave tutta nostra che nessun altro potrà mai avere. Tornando per un attimo col pensiero alla politica italiana, che se non altro, nella sua totale inutilità, ha avuto il merito di darmi un'idea per questo blog, dubito fortemente che sia un ambiente in cui questo mio pensiero sarebbe compreso e gradito. Me ne farò una ragione. D'altra parte, neanche io comprendo e gradisco la politica italiana.

mercoledì 6 novembre 2013

BUONANOTTE E SOGNI D'ORO

Ho sempre banalmente pensato (credo come molti di voi) che fare bei sogni, la notte, fosse preferibile al fare brutti sogni, argomento che ho già trattato su questo blog qualche mese fa. La qualità del sonno è indubbiamente migliore, come lo è il risveglio e la sensazione che ti rimane addosso per tutta la giornata. Non avevo però calcolato una variabile che rende il bel sogno nocivo per il nostro umore quanto quello brutto. La variabile è quella cosa con cui dobbiamo fare sempre, immancabilmente, i conti: la realtà. Tanto essa è capace di rassicurarci dopo un orrendo incubo, infatti, quanto è in grado di buttarci addosso un secchio di acqua gelida per toglierci ogni illusione. Giorni fa mi è capitato di fare un bellissimo sogno e il risveglio, seguito immediatamente dal prendere atto della realtà, è stato davvero doloroso, quasi traumatico. Il senso di delusione è tale, in questo caso, che non sai con chi prendertela: con te stesso per nutrire sciocche e infantili speranze? Con la notte che invece di portare consiglio ha portato solo inutili illusioni? Con il tuo inconscio che non smette mai di ripeterti quello che realmente desideri? Con la realtà, che non assomiglia neanche lontanamente al sogno? Non c'è capro espiatorio che tenga. Non potendo prendertela con niente e nessuno, ti tieni la delusione e ci convivi per il resto della giornata. Con un piccolo problema. La realtà ti sembra ancora più brutta e dolorosa di quel che è.  E cattiva, anche. Spietata. Perché sai che potrebbe essere diversa. Lo sai perché l'hai sognato. E tutto quel che sogniamo, per il nostro cervello, è realtà, a tutti gli effetti.  Il cervello, si dice, non distingue un'esperienza vividamente immaginata (e dunque anche sognata) da una realmente vissuta. A livello neurologico pare sia così. Quindi, se la tua realtà notturna è stata meravigliosa, sarà molto difficile accettare quella diurna, così lontana da ciò che potrebbe essere e a cui neanche vagamente somiglia. Ce l'avrai con lei, con quella maledetta realtà diurna, tutto il giorno, tutta la sera, fino al momento in cui ti addormenti di nuovo, sperando che finalmente tutto torni ad essere come deve essere, ovvero come tu vuoi che sia.

CUORE, RESISTI!

Sono da sempre contraria all'avviso di chiamata nei cellulari. Lo ritengo indice di maleducazione, di poca sensibilità, di incapacità di entrare in empatia con le persone. Trovo intollerabile che, mentre stai parlando con qualcuno, questo qualcuno improvvisamente dica: 'oddio, scusa, mi sta chiamando Tal dei Tali' (quasi mai trattasi del Padreterno o di illustre personaggio impossibile da reperire) e ti agganci il telefono in faccia dicendo che ti richiamerà appena possibile. Esiste il diritto di precedenza, nella vita, e soprattutto esiste la buona educazione. Ti ho chiamato prima io, stai parlando con me, finisci la conversazione con me e poi chiami questa persona che, a meno che non sia affetta da gravi patologie, non si toglierà la vita per aver trovato la linea occupata. Qualcuno a cui ho fatto notare questa cosa, mi ha risposto che l'avviso di chiamata è necessario per poter stare in conversazione telefonica molto tempo senza paura di perdere una chiamata importante. Qui ammetto di avere un problema di comprensione: non riesco proprio a capire come si possa sprecare gran parte della propria vita al telefono. Ventiquattro ore (anzi sedici, tolte le canoniche otto ore di sonno) mi sembrano già molto poche per fare tutto quello che voglio fare in una giornata, non riuscirei mai a concepire di impiegare alcune ore in chiacchiere telefoniche. Preferisco la sintesi dei messaggi scritti  o qualche chiacchiera a tu per tu davanti a un bicchiere di vino. Questo, però, è un problema tutto mio. Credo che il problema vero sia a monte, e riguardi la società odierna. Credo si tratti di mancanza di pazienza. Non sappiamo più cosa sia, la pazienza. Non sappiamo più aspettare. Un tempo aspettavamo la telefonata a casa, e se chiamavamo qualcuno e trovavamo la linea occupata, anche per ore, continuavamo imperterriti a chiamare finché non si liberava. Eravamo pazienti. Pazienti e tenaci. Adesso non riusciamo più ad aspettare, e non vogliamo essere aspettati. Recentemente ho appreso che in Cina per dire la parola 'pazienza' usano un'espressione che significa 'cuore resistente'. Ecco, credo che sia proprio questo il punto. Non abbiamo più il cuore, quindi il coraggio, di attendere e di farci attendere. Abbiamo solo paura. Paura di non trovare e di non farci trovare. Paura di fare un secondo o un terzo tentativo, e paura che nessuno voglia farlo con noi. Paura degli ostacoli momentanei, paura di essere fregati dal tempo. Il cuore è un muscolo, e come tale va allenato; solo così avrà più resistenza. Anche la pazienza va allenata. Peccato che non abbiamo più pazienza per farlo.