Ricorre oggi un anno dalla scomparsa del mio adorato coniglietto nano, Sanyu, che mi ha fatto compagnia per 13 anni. Ricordo come se fosse oggi l'immenso dolore e la sensazione di vuoto dei giorni a seguire. Un vuoto che non si è più colmato, nonostante la concreta pienezza della mia vita. Lo scorso Agosto avevo deciso di prendere un altro coniglietto. Siamo a fine Novembre, e ancora non l'ho preso. Le scuse, le giustificazioni, anche plausibili e fondate, sono molte. Per esempio, il fatto che viaggio spesso, che il weekend sono spesso fuori Roma, che durante la giornata non ci sono mai e che quindi il piccolino rimarrebbe troppo solo. Oppure il fatto che, da buon roditore, rosicchierebbe tutto quello che gli capita a tiro esattamente come fece da cucciolo Sanyu, e avendo io restaurato casa da poco e messo mobili, tappeti, tende e divani nuovi temo per la loro incolumità, o per quella del coniglio stesso nel caso mordesse i cavi elettrici di apparecchi elettronici di ogni tipo. La verità, però, è una sola. La giustificazione, o meglio l'alibi, ha un solo nome: PAURA. La paura della responsabilità a cui inevitabilmente si va incontro quando si ama e quando ci si deve prendere cura di qualcuno. La paura di aprire nuovamente il cuore a un esserino che prima o poi ti abbandonerà, la paura di un impegno quotidiano che richiede quella costanza che solo le grandi passioni e i grandi amori sono in grado di generare. La paura di non essere all'altezza del compito, la paura di non poter garantire il mio amore costantemente, ogni singolo momento della mia vita. In una parola, la paura di amare. Ricordo bene, come ho detto, il vuoto, la sensazione di abbandono, che ho provato il giorno che Sanyu è mancato. Ricordo anche bene però (e non voglio e non posso vigliaccamente negarlo) la sensazione di liberazione da un impegno e da una responsabilità che mi avevano accompagnata per 13 lunghi anni. Ricordo la meravigliosa sensazione di libertà, quella mia amata libertà, agognata e rincorsa tutta la vita, ottenuta a prezzi talvolta altissimi. In certi momenti, specialmente gli ultimi due anni, era faticoso accudire Sanyu. La presenza di quel povero esserino ormai molto anziano e malandato mi procurava più preoccupazioni e angosce che gioie. Mi guardo indietro, molto indietro, e scopro che, a ben guardare, è la stessa sensazione che ho avuto da bambina con i miei genitori. Fin da piccola, per la malattia che ha colpito mia madre quando avevo soli sette anni e che l'ha portata alla morte, e per la temporanea dipendenza dall'alcol di mio padre e tutti i suoi continui problemi di salute psicofisici che lo hanno accompagnato tutta la vita, ho sempre associato all'amore oneri, impegni, fatica, sofferenza, responsabilità, sacrifici e mancanza di libertà, mancanza di aria, senso di soffocamento, paura. Paura della perdita, paura dell'abbandono, paura della responsabilità, paura della sofferenza, paura di soccombere a qualcosa di più grande di me, paura della fatica emotiva, paura di non essere all'altezza di un compito troppo difficile. Paura e basta. E la paura altro non è che il sentimento opposto all'amore. La paura è il vuoto. E' un bicchiere vuoto che solo l'amore può riempire. Avere coraggio nient'altro vuol dire che avere cuore, quindi amore. L'unico vero antidoto contro la paura è l'amore. Solo sintonizzandoci sulla frequenza dell'amore possiamo uscire dalla frequenza della paura. I brividi di paura non sono altro che brividi di freddo al cuore, all'anima. Sanyu ha vissuto per 13 anni come un re. Il veterinario lo chiamava Highlander e mi ha sempre detto che, al di là di un innegabile DNA particolarmente fortunato, sicuramente il piccolo esserino aveva ricevuto molto amore, ed era evidente dal suo carattere, oltre che dal suo stato di salute. La vita che ho fatto in quei 13 anni non era poi tanto diversa da quella che faccio ora: sempre con la valigia in mano, sempre amante dei viaggi e in partenza per vacanze anche lunghe, sempre fuori dalla mattina alla sera, sempre super impegnata. Ma mai ho fatto mancare qualcosa a Sanyu, mai mi sono dimenticata di lui, mai sono stata incapace di prendermene cura, mai mi sono sentita non all'altezza di un simile compito. Né mai mi sono limitata nel godermi la vita e nel prendermi impegni di ogni tipo, lavorativi, sociali e personali. E' stato facile amarlo e prendermi cura di lui, tutto sommato. Adesso, voltandomi indietro, vedo solo fatica, impegno e responsabilità, ma quello che ho visto e provato per 13 anni era amore, quell'amore che in questo periodo della mia vita non riesco a ricordare e provare perché troppo spaventata da tutto. La paura tende a farci dimenticare la nostra capacità di amare. Il bicchiere vuoto genera una sete che possiamo placare solo amando. Spero di ritrovare presto il coraggio di riempire quel bicchiere, spero che il cuore abbia la meglio. Spero che la luce della mia Anima faccia scomparire il buio dell'Ego. E dicendo la parola 'spero', so che sto continuando a fare un errore. Devo solo decidere, non sperare. Dipende solo da me. A chi in questi mesi mi ha detto: 'Pensavo di regalarti un coniglietto ma poi non l'ho fatto perché non volevo costringerti', va il mio grazie. Sarebbe una sconfitta amare per imposizione, perché qualcuno ha scelto per me. Si ama perché si sceglie di amare, e la scelta è e dev'essere mia. Devo solo scegliere. Come sempre, come ognuno di noi in ogni istante della propria vita.
domenica 24 novembre 2013
UN BICCHIERE VUOTO
Ricorre oggi un anno dalla scomparsa del mio adorato coniglietto nano, Sanyu, che mi ha fatto compagnia per 13 anni. Ricordo come se fosse oggi l'immenso dolore e la sensazione di vuoto dei giorni a seguire. Un vuoto che non si è più colmato, nonostante la concreta pienezza della mia vita. Lo scorso Agosto avevo deciso di prendere un altro coniglietto. Siamo a fine Novembre, e ancora non l'ho preso. Le scuse, le giustificazioni, anche plausibili e fondate, sono molte. Per esempio, il fatto che viaggio spesso, che il weekend sono spesso fuori Roma, che durante la giornata non ci sono mai e che quindi il piccolino rimarrebbe troppo solo. Oppure il fatto che, da buon roditore, rosicchierebbe tutto quello che gli capita a tiro esattamente come fece da cucciolo Sanyu, e avendo io restaurato casa da poco e messo mobili, tappeti, tende e divani nuovi temo per la loro incolumità, o per quella del coniglio stesso nel caso mordesse i cavi elettrici di apparecchi elettronici di ogni tipo. La verità, però, è una sola. La giustificazione, o meglio l'alibi, ha un solo nome: PAURA. La paura della responsabilità a cui inevitabilmente si va incontro quando si ama e quando ci si deve prendere cura di qualcuno. La paura di aprire nuovamente il cuore a un esserino che prima o poi ti abbandonerà, la paura di un impegno quotidiano che richiede quella costanza che solo le grandi passioni e i grandi amori sono in grado di generare. La paura di non essere all'altezza del compito, la paura di non poter garantire il mio amore costantemente, ogni singolo momento della mia vita. In una parola, la paura di amare. Ricordo bene, come ho detto, il vuoto, la sensazione di abbandono, che ho provato il giorno che Sanyu è mancato. Ricordo anche bene però (e non voglio e non posso vigliaccamente negarlo) la sensazione di liberazione da un impegno e da una responsabilità che mi avevano accompagnata per 13 lunghi anni. Ricordo la meravigliosa sensazione di libertà, quella mia amata libertà, agognata e rincorsa tutta la vita, ottenuta a prezzi talvolta altissimi. In certi momenti, specialmente gli ultimi due anni, era faticoso accudire Sanyu. La presenza di quel povero esserino ormai molto anziano e malandato mi procurava più preoccupazioni e angosce che gioie. Mi guardo indietro, molto indietro, e scopro che, a ben guardare, è la stessa sensazione che ho avuto da bambina con i miei genitori. Fin da piccola, per la malattia che ha colpito mia madre quando avevo soli sette anni e che l'ha portata alla morte, e per la temporanea dipendenza dall'alcol di mio padre e tutti i suoi continui problemi di salute psicofisici che lo hanno accompagnato tutta la vita, ho sempre associato all'amore oneri, impegni, fatica, sofferenza, responsabilità, sacrifici e mancanza di libertà, mancanza di aria, senso di soffocamento, paura. Paura della perdita, paura dell'abbandono, paura della responsabilità, paura della sofferenza, paura di soccombere a qualcosa di più grande di me, paura della fatica emotiva, paura di non essere all'altezza di un compito troppo difficile. Paura e basta. E la paura altro non è che il sentimento opposto all'amore. La paura è il vuoto. E' un bicchiere vuoto che solo l'amore può riempire. Avere coraggio nient'altro vuol dire che avere cuore, quindi amore. L'unico vero antidoto contro la paura è l'amore. Solo sintonizzandoci sulla frequenza dell'amore possiamo uscire dalla frequenza della paura. I brividi di paura non sono altro che brividi di freddo al cuore, all'anima. Sanyu ha vissuto per 13 anni come un re. Il veterinario lo chiamava Highlander e mi ha sempre detto che, al di là di un innegabile DNA particolarmente fortunato, sicuramente il piccolo esserino aveva ricevuto molto amore, ed era evidente dal suo carattere, oltre che dal suo stato di salute. La vita che ho fatto in quei 13 anni non era poi tanto diversa da quella che faccio ora: sempre con la valigia in mano, sempre amante dei viaggi e in partenza per vacanze anche lunghe, sempre fuori dalla mattina alla sera, sempre super impegnata. Ma mai ho fatto mancare qualcosa a Sanyu, mai mi sono dimenticata di lui, mai sono stata incapace di prendermene cura, mai mi sono sentita non all'altezza di un simile compito. Né mai mi sono limitata nel godermi la vita e nel prendermi impegni di ogni tipo, lavorativi, sociali e personali. E' stato facile amarlo e prendermi cura di lui, tutto sommato. Adesso, voltandomi indietro, vedo solo fatica, impegno e responsabilità, ma quello che ho visto e provato per 13 anni era amore, quell'amore che in questo periodo della mia vita non riesco a ricordare e provare perché troppo spaventata da tutto. La paura tende a farci dimenticare la nostra capacità di amare. Il bicchiere vuoto genera una sete che possiamo placare solo amando. Spero di ritrovare presto il coraggio di riempire quel bicchiere, spero che il cuore abbia la meglio. Spero che la luce della mia Anima faccia scomparire il buio dell'Ego. E dicendo la parola 'spero', so che sto continuando a fare un errore. Devo solo decidere, non sperare. Dipende solo da me. A chi in questi mesi mi ha detto: 'Pensavo di regalarti un coniglietto ma poi non l'ho fatto perché non volevo costringerti', va il mio grazie. Sarebbe una sconfitta amare per imposizione, perché qualcuno ha scelto per me. Si ama perché si sceglie di amare, e la scelta è e dev'essere mia. Devo solo scegliere. Come sempre, come ognuno di noi in ogni istante della propria vita.
giovedì 21 novembre 2013
CARÒN DIMONIO

mercoledì 13 novembre 2013
VITA TUA VITA MEA
mercoledì 6 novembre 2013
BUONANOTTE E SOGNI D'ORO

CUORE, RESISTI!
Sono da sempre contraria all'avviso di chiamata nei cellulari. Lo ritengo indice di maleducazione, di poca sensibilità, di incapacità di entrare in empatia con le persone. Trovo intollerabile che, mentre stai parlando con qualcuno, questo qualcuno improvvisamente dica: 'oddio, scusa, mi sta chiamando Tal dei Tali' (quasi mai trattasi del Padreterno o di illustre personaggio impossibile da reperire) e ti agganci il telefono in faccia dicendo che ti richiamerà appena possibile. Esiste il diritto di precedenza, nella vita, e soprattutto esiste la buona educazione. Ti ho chiamato prima io, stai parlando con me, finisci la conversazione con me e poi chiami questa persona che, a meno che non sia affetta da gravi patologie, non si toglierà la vita per aver trovato la linea occupata. Qualcuno a cui ho fatto notare questa cosa, mi ha risposto che l'avviso di chiamata è necessario per poter stare in conversazione telefonica molto tempo senza paura di perdere una chiamata importante. Qui ammetto di avere un problema di comprensione: non riesco proprio a capire come si possa sprecare gran parte della propria vita al telefono. Ventiquattro ore (anzi sedici, tolte le canoniche otto ore di sonno) mi sembrano già molto poche per fare tutto quello che voglio fare in una giornata, non riuscirei mai a concepire di impiegare alcune ore in chiacchiere telefoniche. Preferisco la sintesi dei messaggi scritti o qualche chiacchiera a tu per tu davanti a un bicchiere di vino. Questo, però, è un problema tutto mio. Credo che il problema vero sia a monte, e riguardi la società odierna. Credo si tratti di mancanza di pazienza. Non sappiamo più cosa sia, la pazienza. Non sappiamo più aspettare. Un tempo aspettavamo la telefonata a casa, e se chiamavamo qualcuno e trovavamo la linea occupata, anche per ore, continuavamo imperterriti a chiamare finché non si liberava. Eravamo pazienti. Pazienti e tenaci. Adesso non riusciamo più ad aspettare, e non vogliamo essere aspettati. Recentemente ho appreso che in Cina per dire la parola 'pazienza' usano un'espressione che significa 'cuore resistente'. Ecco, credo che sia proprio questo il punto. Non abbiamo più il cuore, quindi il coraggio, di attendere e di farci attendere. Abbiamo solo paura. Paura di non trovare e di non farci trovare. Paura di fare un secondo o un terzo tentativo, e paura che nessuno voglia farlo con noi. Paura degli ostacoli momentanei, paura di essere fregati dal tempo. Il cuore è un muscolo, e come tale va allenato; solo così avrà più resistenza. Anche la pazienza va allenata. Peccato che non abbiamo più pazienza per farlo.
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