lunedì 29 luglio 2013

AL CINEMA

Quando stiamo attraversando un momento drammatico o comunque molto problematico che ci crea preoccupazione e sofferenza dovremmo essere in grado di osservare la nostra vita nello stesso identico modo in cui al cinema guardiamo un film che ci appassiona, ossia con quella partecipazione emotiva che è entusiasmante, coinvolgente ed emozionante anche quando fa soffrire e genera lacrime. Invece, quando ci troviamo a viverli di persona, certi film,  non ci entusiasmano per niente; vorremmo uscire dalla sala cinematografica e non vedere più nulla, vorremmo andare di corsa nella nostra casetta, nel nostro nido, dove tutto è tranquillo e quel che vediamo è rassicurante.  Siamo talmente impauriti e sofferenti, talmente preoccupati, che perdiamo di vista un elemento fondamentale: il fascino del film della nostra vita. Un film non è un bel film senza una sceneggiatura ricca di colpi scena, di rivali da sconfiggere, di ostacoli da superare, di problemi da risolvere. Al cinema, più la sceneggiatura è articolata, più il film è coinvolgente, più noi godiamo nel vederlo e più stiamo incollati allo schermo. Dovremmo stare incollati allo stesso modo allo schermo della nostra vita, guardare bene ogni inquadratura; osservare le luci, i suoni, i costumi; ascoltare attentamente i dialoghi, e semplicemente godersi la trama, godersi le emozioni che ogni singolo dettaglio ci suscita. Invece siamo talmente occupati a cercare di indovinare come finirà il film, e stiamo lì a domandarci chi è l'assassino, se l'eroe riuscirà a sconfiggere il nemico e a portare a termine la sua missione, se l'amore tra i due protagonisti trionferà, se l'eroina malata guarirà, se il cattivo morirà, se gli alieni se ne andranno e via discorrendo, che non ci rendiamo conto che ci stiamo perdendo il film stesso, di cui non sarà possibile avere una seconda visione. Abbiamo il privilegio di essere protagonisti e spettatori al tempo stesso, del film della nostra vita, e spesso non riusciamo ad essere né l'uno né l'altro. Davvero un gran peccato.

martedì 16 luglio 2013

AL DI QUA

Chiunque perda una persona cara vive poi nella speranza di poterla 'sentire', di poter avere un segnale qualsiasi dall'aldilà. Ma loro, i morti, si fanno sentire quando vogliono, e non quando vogliamo noi. Potrei dire retoricamente che si fanno sentire quando ne abbiamo davvero bisogno, ma non è così. La verità è che si fanno sentire quando noi siamo pronti ad accoglierli, e per accoglierli è necessario abbandonare il dolore, la rabbia, il senso di ingiustizia e di sfortuna, il senso di abbandono e di perdita, i rimpianti e i rimorsi legati a quella scomparsa. I morti vogliono stare in pace, ne hanno il diritto, se la sono guadagnati, la pace, quella eterna. La loro luce non può risplendere se noi continuiamo a voler stare al buio. I morti sono liberi, liberi finalmente da tutto, ed è perfettamente inutile ostinarci a cercare disperatamente di tenerli legati a noi, ad una vita a cui loro non appartengono più. I morti bisogna saperli accogliere, e per saperli accogliere bisogna prima imparare a lasciarli andare.

martedì 9 luglio 2013

(IN)CERTEZZE

Noi esseri umani siamo alquanto contraddittori: da un lato abbiamo bisogno di certezze, di sicurezze, di rassicurazioni continue e costanti, e dall'altro abbiamo bisogno della cosa totalmente opposta: abbiamo bisogno di varietà, di sorprese, di novità, di imprevisti che movimentino la vita altrimenti monotona. Sono sempre più convinta che ognuno di noi, nessuno escluso, viva questa schizofrenica e dilaniante scissione quotidianamente, per tutta la vita.  Mi chiedo il perché e mi do' una risposta, l'unica per me plausibile, e cioè che anche il brivido dell'incertezza è in un certo qual modo certezza. Certezza che niente è statico, che tutto è in continua evoluzione e in continuo movimento, in continua metamorfosi.  Certezza che niente è per sempre, nel bene e nel male, che ogni fermata è solo una sosta temporanea che ci permetterà di riprendere il cammino verso la  nostra crescita, il nostro sviluppo come esseri umani. Certezza che ci sarà sempre qualcosa da scoprire, qualcosa da conoscere, qualcosa da imparare, qualcosa da sperimentare, qualcosa da provare. Certezza che dopo ogni traguardo ce ne sarà sempre un altro, e che il percorso sarà sempre accompagnato da quella sana euforia infantile che ci farà sempre sentire vivi e mai vecchi. Il non arrivare mai definitivamente,  ecco qual è l'unica vera magica certezza della vita, da cui non si può non essere attratti. In fondo siamo scontati, noi umani: abbiamo bisogno di sapere che la vita vale la pena di essere vissuta. Siamo scontati e banali: abbiamo bisogno di aggrapparci a questa certezza per esorcizzarne un'altra uguale e contraria: quella della morte. Perché smettere di crescere, in natura, equivale a morire.

mercoledì 3 luglio 2013

'GRAZIE A ME'

I modi di dire possono essere molto diseducativi, a volte. Rifletto spesso su quelli utilizzati per esprimere la nostra gratitudine per qualcosa che va o che è andato bene: 'grazie a Dio', 'se Dio vuole', 'grazie al cielo', per fortuna', 'per buona sorte'... e anche su quelli per esprimere la nostra speranza sull'esito futuro di qualcosa: 'se Dio vorrà', 'a Dio piacendo','se la fortuna mi assiste', 'con l'aiuto della mia buona stella'... Non c'è un solo modo di dire, uno solo, che deresponsabilizzi Dio, il cielo, la sorte, il fato, la fortuna e responsabilizzi noi al posto loro. Non esistono modi di dire come ad esempio: 'grazie a me', 'per mia bravura', 'per mie capacità', 'grazie alla mia volontà', 'se io voglio','se io vorrò','se io mi impegno'... Non siamo abituati a prenderci la responsabilità della nostra vita e del nostro destino, responsabilità che preferiamo delegare a qualcosa di superiore, di ultraterreno, perché è più comodo, più facile. Nasciamo e cresciamo con una programmazione linguistica errata, nociva, diseducativa, deresponsabilizzante, deleteria per la nostra crescita e per il raggiungimento dei nostri obiettivi, per la considerazione che abbiamo di noi stessi, dei nostri mezzi, del potere della nostra mente, della nostra volontà. Cresciamo con la falsa credenza limitante che il nostro destino non dipende da noi, ci convinciamo che noi possiamo solo dare un misero contributo a ciò che è già scritto, che nulla o quasi è in nostro potere. Non è così. Proprio non lo è. 'Per fortuna', 'ringraziando il cielo', l'ho capito in tempo.