domenica 20 marzo 2016

BRILLA BRILLA LA STELLINA

C'era una volta una piccola luce che voleva diventare una stella. Si sforzava di risplendere e illuminare se stessa, ma più si sforzava, più si consumava, si affievoliva, e più diventava stanca e triste. Un giorno che era più stanca del solito si distrasse e invece di illuminare se stessa, per sbaglio illuminò le persone intorno a lei. Con sua enorme sorpresa, guardando gli occhi di quelle persone, vide il riflesso di se stessa e si vide più luminosa e brillante del solito. Capì allora che gli occhi degli altri erano uno strumento magico per aumentare la sua luminosità e invece di continuare a illuminare se stessa si spostò e illuminò tutti quegli occhi, che tutti insieme moltiplicarono quella luce per tante volte quante erano le stelle in cielo, quelle stelle a cui lei voleva tanto assomigliare, e gliela restituirono. La piccola luce si trasformò come per magia in una luce fortissima, abbagliante, e salì in cielo tutta contenta a vedere da vicino le stelle che aveva sempre ammirato e invidiato. Dopo averle osservate attentamente le abbracciò con amore ad una ad una avvolgendole, finché non si accorse che aveva assunto le loro sembianze. Così, la piccola luce trasformata in stella poté risplendere in cielo felice e illuminare tutte le persone che l'avevano aiutata a salire fin lassù e tutte le piccole luci che un giorno sarebbero diventate stelle ma che ancora non lo sapevano.

domenica 10 gennaio 2016

SECOND CHANCE

Credo sia capitato a molti, se non a tutti, di dare una seconda possibilità a qualcuno che non si è comportato bene con noi, che ci ha feriti, delusi. Poco importa se la persona in questione è un partner, un amico, un collaboratore, un parente. Abbiamo messo da parte l'orgoglio e il dolore e abbiamo deciso di 'perdonare' e dare un'altra opportunità a questa persona che spesso, poi, ci ha feriti o delusi di nuovo. La cosa che mi ha sempre sorpresa è che quasi ogni volta, tranne rare eccezioni, ci diciamo che il tradimento della nostra fiducia per la seconda volta non giunge inaspettato, come la prima volta; non è affatto un fulmine a ciel sereno, bensì una conferma di ciò che ci aspettavamo. Mi sono sempre quindi interrogata sul perché ci ostiniamo a dare una seconda opportunità se già sappiamo che questa persona non la merita. Troppa generosità? Non credo. Stupidità o masochismo? Men che mai. Di fatto, io credo che la seconda opportunità non la diamo alla persona in questione, ma a noi stessi. È molto difficile ammettere di essersi sbagliati sulla scelta di un amico, un partner, una persona che abbiamo fatto entrare nella nostra vita e a cui abbiamo dato fiducia. Difficile pensare che il nostro istinto sia fallace, e che ancor di più lo sia il nostro cuore. Pensare che abbiamo potuto donare amore e fiducia a qualcuno che non la meritava è un pensiero molto difficile da tollerare per il nostro orgoglio, così tanto difficile che preferiamo addirittura rischiare di sbagliare due volte pur di non ammettere subito l'errore. Siamo davvero creature strane e contorte, noi esseri umani. Poiché non riusciamo a tollerare il dolore della delusione, ci esponiamo a una seconda delusione per essere certi di esserci davvero sbagliati. Per poter tollerare il dolore di una ferita, ci facciamo ferire due volte. Sublime controsenso. Forse sarebbe meglio accettare subito l'umana fallacia del nostro cuore e farsene una ragione, ma spesso per accettare un dolore e porre fine a un rapporto, di qualunque natura esso sia, abbiamo bisogno che la delusione e le ferite siano inconfutabili, indiscutibili, inaccettabili, senza possibilità di appello. Abbiamo bisogno di accettare che non siamo infallibili NOI, ancor più di chi ci ha feriti.

lunedì 13 aprile 2015

PATRIMONI

Credo da sempre che la diversificazione sia alla base della qualità della vita di ognuno di noi. Diversificazione di obiettivi, di ruoli, di interessi, di passioni, di attività, di cose a cui dedicare il nostro tempo e le nostre energie. Troppo spesso le persone vivono 'solo per'. Per un lavoro gratificante, per un grande amore, per i figli, per uno sport. Poi, quando in questo settore della loro vita, per qualche motivo, le cose non vanno bene, le persone si deprimono, talvolta fino a farsene una malattia. E questo oscura tutto il resto della loro vita. Perché questo settore È la loro vita. Questo aspetto umano mi ha sempre rattristata e allo stesso tempo spaventata. La nostra vita è come un grande patrimonio da investire in Borsa. Solo uno scellerato investirebbe tutto il suo patrimonio su un solo titolo, sapendo che se quel titolo fallisce egli perderà tutto e rimarrà senza un centesimo. È quindi da scellerati investire tutta la propria vita in un solo ambito, un solo settore. Se viviamo 'in funzione di' qualcosa, qualunque cosa, rischiamo di rimanere a mani vuote in molti momenti della nostra vita. Più diversificheremo il nostro ' portfolio vita' e più saremo felici. Più cose avremo a cui dedicarci e più la nostra vita sarà ricca e piena di soddisfazioni. E, esattamente come chi ha un grosso patrimonio investito in vari titoli e azioni, qualche volta potremo essere in perdita, ma altre volte guadagneremo fino ad arrivare persino a vivere di rendita. L'importante è non dimenticare mai che la nostra vita è un immenso patrimonio, una grande eredità tutta nostra che abbiamo la fortuna di ricevere sin dalla nascita, e di poter investire come vogliamo.

venerdì 12 dicembre 2014

COMPORTAMENTI

C'è una grande differenza, a mio parere, tra un comportamento di una persona e la persona stessa, la sua identità. Non sempre le persone sono i loro comportamenti, anche se spesso così sembra e così tendiamo a pensare. I comportamenti sono spesso soltanto una manifestazione di tutte le sovrastrutture delle persone, o talvolta delle loro patologie, delle loro paure, del loro background, dei loro condizionamenti ricevuti. Credo che l'unico modo di giudicare obiettivamente un comportamento sia non cadere nella tentazione di giudicarlo, e di conseguenza non giudicare la persona e non condannarla. Osservarne il comportamento, e magari condannare quello, se disfunzionale o dannoso per la persona stessa o per gli altri. Punire quel comportamento, se ce n'è motivo. Punirlo anche molto severamente. Ricordandosi sempre che dietro quel comportamento c'è una persona con un mondo. Un mondo molto difficile, a volte, che noi non conosciamo, e che non siamo ovviamente tenuti a conoscere. Punire severamente il comportamento e perdonare la persona. Perché c'è stato un momento in cui siamo stati tutti innocenti, tutti puliti, tutti meravigliosamente candidi. Quando siamo nati, quando eravamo dei piccolissimi bambini e non potevamo far male a nessuno perché niente e nessuno ci aveva ancora feriti. Punizioni più severe per i comportamenti scorretti e nocivi e più perdono nei nostri cuori, è questo il binomio che mi piacerebbe trovare nel mondo.

lunedì 24 novembre 2014

IMPRINTING

Qualche mese fa, mi sono recata a Milano per un corso, alloggiando in un hotel. Il corso era suddiviso in due settimane, quattro giorni a settimana. I quattro giorni della prima settimana alloggiavo in una camera al terzo piano. Uscita dall'ascensore la camera era sulla destra. I quattro giorni della seconda settimana ero nello stesso albergo, al quinto piano, e uscita dall'ascensore la camera era sulla sinistra. Ho notato, la seconda settimana, come in ascensore continuassi a premere il terzo piano, dove avevo alloggiato la prima settimana, e soprattutto come, uscita dall'ascensore, andassi a destra anziché a sinistra. Ho continuato a farlo per tutti e quattro i giorni della seconda settimana, segno evidente che nellla mia memoria inconscia più profonda c'era ancora l'imprinting della prima settimana. Ho così cominciato a riflettere sul come e perché fosse così difficile cancellare quell'imprinting, estendendo ovviamente questa riflessione alla vita in generale, ragionando su come sia spesso difficile cancellare quello che è successo durante la nostra infanzia, o in un periodo importante del nostro passato. Tornando al mio personale banalissimo esempio, ho riflettutto sul fatto che la prima settimana era stata per me emotivamente molto toccante, e che quindi tutto ciò che era associato a quella settimana era molto difficile da cancellare, nel mio inconscio. La seconda settimana non era per me altrettanto sconvolgente, dal punto di vista emotivo, ed ecco perché non riuscivo a cancellare quel piccolo tracciato neurologico per riscriverne uno nuovo. Il detto popolare 'chiodo scaccia chiodo' è uno tra i più veritieri che esistano. Più forte è l'emozione associata a un'esperienza, più difficile è cancellare dai ricordi quell'esperienza, e più forte sarà l'emozione necessaria associata ad una nuova esperienza per sostituirla alla precedente nel nostro inconscio. Curioso come, in quel corso, anche questo fosse uno degli argomenti trattati, e come stessi vivendo un esempio diretto di ciò che stavo imparando. La vita è sempre il corso più avanzato, è la scuola migliore.

giovedì 30 ottobre 2014

PRIORITÀ


È abitudine di molti (me compresa) dire 'non ho tempo', quando mi trovo in difficoltà nell'inserire qualcosa nel mio calendario. 'Non ho tempo' per fare questo, quest'altro, e quest'altro ancora.  Partiamo da un dato di fatto oggettivo: il tempo non è mai abbastanza per fare tutto ciò che vorremmo e dovremmo fare. Una giornata è fatta di sole 24 ore, purtroppo, e se togliamo le ore dedicate al riposo notturno, quelle dedicate ai pasti, e quelle dedicate al lavoro, ne rimangono ben poche. Questo, ripeto, è un dato di fatto oggettivo e inconfutabile, come anche il fatto che non abbiamo, ahimè, il dono dell'ubiquità. La naturale conseguenza di tutto ciò è che non possiamo fare tutto. E quindi dobbiamo SCEGLIERE. Ed è proprio nel fare una scelta che stabiliamo le nostre priorità. Spesso però fare una scelta è difficile, perché difficile è proprio stabilire le nostre priorità. Se non abbiamo ben chiari i nostri valori, ossia ciò che è più importante per noi e ciò che vogliamo davvero dalla vita, non saremo mai in grado di fare le scelte giuste, quelle più funzionali per noi e per quello che vogliamo raggiungere e ottenere. Sappiamo a cosa dare priorità solo se sappiamo prima di tutto cosa vogliamo davvero. Ogni giorno siamo chiamati a scegliere cosa fare della nostra vita, al di là di pochissime cose che non possiamo scegliere. E se qualcosa ci preme veramente, ed è davvero importante, il tempo lo troveremo. Non oggi, non domani, forse, ma prima o poi lo troveremo. Le scelte sono solo una questione di priorità. Per questo sarebbe bello sostituire la frase 'non ho tempo per...' con 'non è una mia priorità'.

martedì 14 ottobre 2014

GIACCHETTE BIANCHE

Mesi fa, in un posto di lavoro nel quale non mi recavo da molti mesi, mi è stato chiesto se avessi smarrito una giacchetta bianca. Io, senza alcuna esitazione, ho risposto di no, che non era mia. Che me ne sarei accorta, se l'avessi persa. Ma una persona ha insistito nel farmela vedere e, con mia grande sorpresa, ho scoperto che era proprio la mia! Era una giacchetta di mezza stagione, che in quel momento non avrei messo perché era inverno. Probabilmente me l'ero dimenticata lì in autunno, e poi non ne avevo avuto più bisogno perché era arrivato l'inverno. Da lì è partita una mia riflessione: la mancanza che sentiamo delle cose e delle persone che ci circondano, a cui siamo abituati, e delle cose che facciamo, è indissolubilmente legata ai nostri bisogni. Se non sentiamo il bisogno di qualcosa o qualcuno non ne sentiamo la mancanza. E, spesso, se non ne sentiamo la mancanza non ci rendiamo conto di quanto questa cosa sia importante. Ci manca tutto ciò che va a soddisfare i nostri bisogni primari, ci manca come l'ossigeno, talvolta. Ci manca tutto ciò che con la sua assenza va a diminuire la qualità della nostra vita. Ci manca ciò che ci serve per stare bene. Quella povera giacchetta bianca sarebbe rimasta lì fino al prossimo autunno, fino a quel momento in cui, sentendo un po' di freddino, mi sarei chiesta: 'ma dove è finita quella giacchetta bianca che avevo?' E sarei impazzita a cercarla, magari invano. Questo è uno sciocco esempio, un banalissimo aneddoto. Ma spesso trattiamo le persone proprio come quella giacca.. Le lasciamo lì, in un angolo, fintanto che non ci servono, che non ci sono utili. Fintanto che un nostro bisogno non può essere soddisfatto senza la loro presenza. Forse dovremmo ricordarci più spesso che se è arrivato l'inverno e l'autunno è alle spalle poi arriverà la primavera, l'estate e poi di nuovo l'autunno. Dovremmo ricordarci che avremo di nuovo bisogno di quella giacca. Per scaldarci nel giusto modo, nel modo in cui avremo bisogno. Non troppo e non troppo poco. Ricordarci che ci ha scaldati fino a un attimo prima, e che ci scalderà ancora un attimo dopo. Tutti noi siamo giacchette bianche, tutti utili, nessuno indispensabile, soprattutto non in ogni momento della nostra vita. Ma cerchiamo di avere attenzione e rispetto, di ricordarci di ogni giacchetta bianca dimenticata, di non darla mai per scontata, perché  il giorno che ne avremo bisogno potremmo non trovarla più a nostra disposizione.

mercoledì 1 ottobre 2014

SPRECHI

Da sempre mi piace studiare le persone, capire la loro mappa del mondo, il loro modo di vedere la vita e di viverla. Ho molti amici e molte conoscenze, e con estrema curiosità osservo il loro comportamento e ascolto il loro modo di ragionare. Vedo e sento sempre più spesso persone imprigionate nelle loro paure, fobie, ossessioni, o comunque comportamenti patologici e disagi psicologici che, anche quando non sono invalidanti, sono fortemente limitanti. Molte di queste persone non fanno assolutamente niente per uscirne, per cambiare, o che, come criceti, girano incessantemente sulla stessa ruota, consumando energie inutilmente e restando sempre allo stesso punto.Io, che lavoro incessantemente su me stessa da quando sono adolescente, talvolta anche eccessivamente, cercando sempre nuovi percorsi, nuove soluzioni, nuove idee, mi sono sempre chiesta il perché. So quanto sia terribile stare male, e mi sono sempre chiesta come a queste persone a un certo punto  se non arriva la spinta per andare verso un benessere, non arrivi almeno quella per fuggire da quel malessere. Credo di aver trovato una risposta, magari una delle tante possibili, quando recentemente mi sono soffermata a pensare a quanto sia prezioso per me il tempo. Credo che molte persone non vogliano cambiare, non vogliano liberarsi delle loro patologie, proprio per non rendersi conto di quanto tempo hanno sprecato e di quanta vita hanno sacrificàto in  nome di una patologia, o comunque di un comportamento disfunzionale. Talvolta è più facile raccontare a se stessi che il proprio modo di vivere è quello giusto o comunque l'unico possibile, piuttosto che ammettere che la propria vita è stata per molti versi un percorso tortuoso fallimentare e che invece, con un po' di impegno, avrebbe potuto essere un percorso rettilineo e produttivo. Non tutti siamo in grado di sopravvivere alla rabbia e alla disperazione che possono sopraggiungere quando finalmente si aprono gli occhi e si capisce cosa e dove abbiamo sbagliato, e perché. Non tutti siamo in grado di accettare la responsabilità della propria vita e capire che avremmo potuto fare qualcosa di diverso se solo ne avessimo avuto il coraggio. È molto più facile dirsi che questo è stato il nostro destino e che sì, ci abbiamo provato, ma non ci siamo riusciti. Una cosa è l'accettazione del proprio carattere, della propria indole, dei propri limiti, delle proprie paure. Un'altra è la rassegnazione. Accettarsi non significa rassegnarsi. Accettarsi significa volersi bene, e il volersi bene implica anche impegnarsi per migliorare se stessi e la propria qualità di vita. Perché poi, alla fine, di questo si tratta. Vivere la vita che ci è stata donata nel miglior modo possibile, e cercare di non sprecarla.

mercoledì 17 settembre 2014

DAMMI UN CONSIGLIO

Credo sia capitato ad ognuno di noi di trovarsi in una situazione difficile, o di dover prendere una decisione, e chiedere un parere, un consiglio, a qualcuno. Questo qualcuno può essere un amico, un familiare, un collega, o anche un semplice conoscente. Sicuramente qualcuno che, per qualche motivo, ci ispira fiducia. Spesso, però, a mio parere, nell'atto del chiedere il consiglio viene commesso un errore di fondo, un grossissimo, fatale, errore: il rivolgersi a qualcuno di fiducia, sì, ma che non ha le competenze adatte per dare consigli nell'ambito in cui li chiediamo. Un ottimo amico con una vita sentimentale disastrosa, ad esempio, non è la persona adatta a cui chiedere consiglio su un problema di cuore. Ho riflettuto molto sull'ostinazione di certe persone a chiedere consigli e pareri a coloro che hanno fallito come o più di loro, e credo di aver tratto una mia personalissima conclusione: spesso le persone non vogliono davvero buoni consigli, vogliono solo sentirsi avallate e appoggiate nei loro fallimenti. Spesso vogliono la pacca sulla spalla, vogliono solo sentire che non sono le uniche a sbagliare, che sono in buona compagnia. In fondo in fondo, rifuggono il consiglio di una persona davvero esperta, che ha davvero avuto successo, perché hanno paura di non essere all'altezza di seguire quel consiglio, e quando hanno l'immensa fortuna di riceverlo lo accantonano con improbabili giustificazioni, come il fatto  che quel consiglio non si addice al loro carattere, o che la persona in questione non ha davvero capito il loro problema. Personalmente, se chiedo un consiglio, non ritengo tanto importante la fiducia che mi ispira a pelle la persona, o il legame che mi unisce ad essa, quanto la competenza di quella persona nell'ambito in cui mi serve il parere. E non c'è che un modo per capirne la competenza: osservare la sua vita. Se è una vita di successo, o almeno io la ritengo tale, ascolto con attenzione e umiltà e cerco di mettere in pratica quanto mi viene insegnato. Ma se la vita di quella persona è fallimentare, per quanto affetto io possa provare per quella persona, non perdo tempo ad ascoltare e tantomeno a chiedere lezioni di vita e consigli. Per quanta bravura e saggezza possiamo dimostrare, infatti, sono solo i nostri risultati, la nostra vita, a parlare di noi. La teoria sarà sempre qualcosa di utile ma di molto sterile se non accompagnata dalla pratica. C'è solo un modo davvero efficace per consigliare gli altri: essere di esempio.

mercoledì 16 aprile 2014

LEZIONE DI NUOTO

Da piccola, avevo il terrore di fare una delle cose che oggi amo di più al mondo: nuotare. Non riuscivo a capire in base a quale strano principio un corpo riuscisse a galleggiare. Vedevo gli altri, bambini e adulti, nuotare allegramente e serenamente da soli  e non mi capacitavo di come facessero. Perché io non ci riuscivo? Perché mai continuavo ad andare giù, a fondo, sempre più pesante, sempre più goffa, nonostante facessi mille sforzi per riuscire a stare a galla? Ero convinta di essere sbagliata, di avere qualche deficit fisiologico che mi impedisse di convivere serenamente con l'acqua. Ero convinta che gli altri conoscessero qualche tecnica segreta che io non riuscivo a comprendere e a mettere in pratica. Pensavo di non essere abbastanza forte. Forte come tutto il resto del mondo. Mi dicevo che probabilmente io non ero capace di sforzarmi come gli altri. Pensavo che per galleggiare bisognasse lottare contro la forza dell'acqua che cercava di tirarti giù e di farti affogare. Pensavo di non fare abbastanza sforzi. Ignoravo totalmente che di sforzi non ne dovessi proprio fare, e che fosse sufficiente lasciarmi andare, affinché il mio corpo potesse galleggiare come tutti i corpi del mondo.   Lo capii per puro caso un pomeriggio all'Isola d'Elba, già tredicenne, quando in acqua con mio padre, che sapeva nuotare benissimo, gli dissi: 'Basta, mi arrendo. Non farò più alcun tentativo per imparare a galleggiare o a nuotare. Mi limiterò a camminare, a passeggiare dentro l'acqua' . E a quel punto inciampai. Misi il piede in malo modo e inciampai. Persi l'equilibrio e mi ritrovai a galleggiare. Spontaneamente feci dei gesti con le gambe e con le braccia e mi ritrovai a nuotare a rana. 'Ecco, così! Stai nuotando!' disse mio padre. 'E' davvero così' semplice?' chiesi. 'Sì' disse lui. Un sì assolutamente disarmante, uno di quei sì che ti fanno sentire piccola e stupida. Uno di quei sì che ti ricordi per sempre perché sono lezioni di vita. Per stare a galla, per sopravvivere, per riuscire ad uscire da situazioni difficili, complicate, talvolta dolorose, è spesso necessario, più di ogni altra cosa, lasciare e lasciarsi andare, affidarsi, lasciarsi trasportare dalla corrente, fiduciosi che se anche quella corrente dovesse portarci al largo prima o poi ci riporterà a riva. Per trovare l'equilibrio bisogna prima perderlo per un istante. Per sentirsi leggeri e coccolati dall'acqua bisogna fidarsi, di quell'acqua. Provo tanta tenerezza per quella bambina che detestava il nuoto. E' la stessa bambina che poi, diventata donna, in più di una occasione ha detestato la vita,  ed è la stessa bambina che diventata ancora più donna, ora ama sia il nuoto che la vita.