domenica 10 marzo 2013

COME QUANDO FUORI PIOVE

I giocatori di carte sanno che questo titolo non prelude a un racconto di una giornata uggiosa osservata dalla finestra di un caldo e comodo salotto. 'Come quando fuori piove' è la frase che serve a ricordare l'ordine  di importanza dei semi nel mazzo di carte da poker: Cuori, Quadri, Fiori, Picche.
Ovunque io mi trovi, da sempre, se ho sotto mano un foglio e una penna, disegno i quattro semi delle carte. Mi piacciono, mi sono sempre piaciuti, tutti e quattro, come mi è sempre piaciuto giocare a carte. Da bambina amavo giocare a carte, e giocavo con mio padre. Era il suo modo di farmi sentire la sua presenza quando mia madre non c'era più e forse anche quello di scusarsi per la sua assenza quando mia madre c'era ancora. Ero brava a giocare a carte, e soprattutto mi divertivo.Giocavamo spesso in tre, io lui e una mia amichetta, Anna. Interi pomeriggi a giocare a carte con la prima televisione a colori accesa in sottofondo e tante risate. Le prime risate dopo dieci anni di lacrime, di tristezza, di angoscia, di terrore, di vergogna. Le prime risate dopo dieci anni di emozioni violente che non dovrebbero far parte dell'infanzia. Le prime risate dopo l'ultima, definitiva disgrazia, la morte di mia madre, in seguito alla quale tutto si era messo a posto come per magia. Niente più urla, niente più musi lunghi, niente più improvvisi risvegli notturni, niente più minacce di abbandono, niente più corpi inermi accasciati sul letto da malattie o alcol, niente più dispetti, niente più accuse che volavano, niente più 'accidenti a questa figliola e a quando è nata'.  Mio padre aveva una faccia diversa, parlava in modo diverso, tanto da dubitare che fosse davvero lui. Soprattutto, avevo scoperto che sapeva sorridere. Fino a quel momento pensavo non ne fosse proprio capace, pensavo che fosse stato disegnato con la bocca rivolta all'ingiù. Ma con l'arrivo della televisione a colori si era colorato anche il mio mondo. Avevo provato a chiedere un miracolo anche a quella in bianco e nero, ma il massimo che era riuscita a fare era stato coprire le liti con il volume. Quella a colori, invece, era proprio magica, caspita! Quella aveva proprio cambiato tutto! C'era solo una cosa che non era riuscita a cambiare: l'enorme senso di credito nei confronti della vita che mi portavo dietro, e la rabbia devastante per aver vissuto i primi dieci anni da sfigata. Non ero più in grado di tollerare alcun tipo di sfortuna, neanche per scherzo, neanche per gioco. Non lo ero a dieci anni, non lo ero a quindici, non lo ero a venti, non lo ero a trenta. Ero convinta che la vita fosse talmente in debito che tutto mi doveva andare bene per forza, anche una banale partita a carte. Se per dieci anni la vita mi aveva dato carte talmente brutte da non riuscire neanche a giocare, se la prima grande partita della mia vita, l'infanzia, era persa per sempre, non era forse ovvio che una banale partita a Scala 40 la dovessi vincere di diritto? Talvolta succedeva, ovviamente. Ma talvolta no, altrettanto ovviamente. Quando giochi con tuo padre, che conosce il tuo credito con la vita e in parte ne è responsabile, anche se suo malgrado, è facile che se si accorge che stai perdendo ti faccia anche vincere. Ma quando giochi con gli amici o con il fidanzato no. Loro non sanno, loro non c'entrano, loro hanno i loro crediti e non possono star dietro ai tuoi. E se vincono, se hanno il loro piccolo riscatto, impedendo a te di avere il tuo, è la fine. Ricordo solo che quando perdevo a carte vedevo nero, quel nero di quando la tv a colori non c'era ancora, quel nero di un pozzo profondo, di un tunnel senza fine, e tutto quel che riuscivo a pensare era:  'Adesso non ho più quattro, cinque, sei, sette, otto, nove anni. Adesso ne ho quindici, diciotto, venti, trenta. Adesso mi incazzo. Adesso me la paghi. Adesso ti meno, e se non posso menarti perché sono una donna e tu sei un uomo ti scaravento addosso la prima cosa che trovo. Non ti faccio davvero del male, sono troppo furba per farlo. Ti faccio solo capire che è meglio che tu non vinca, con me. La cosa ti fa ridere? Ti sembro buffa? Mi incazzo di più, urlo di più. Arriverai a temermi, ad avere paura di me come io ho avuto paura di tutto.'  Ma quando vedi negli occhi altrui la paura, e sai che quella paura l'hai generata tu, cominci ad averne anche tu. E non c'è niente di più brutto dell'aver paura di se stessi. Così smetti di giocare a carte. Poi, pian piano, smetti di giocare a tutto. Perché nel gioco si può perdere, e tu non sai perdere. Non sai perdere perché non sai giocare, perché negli anni in cui avresti dovuto imparare a giocare eri impegnata a imparare a sopravvivere. Sai giocare solo da sola, come facevi da bambina. Giochi in un mondo immaginario, dove anche gli altri giocatori sono immaginari e dove a vincere sei sempre e comunque tu. Ma non ti diverti. Ti manca sempre qualcosa. Senti che è un gioco sterile, inutile, fittizio. Ti rompi le scatole, ti annoi, e allora cominci a cercare dei Maestri che ti insegnino a giocare. I Maestri del Gioco, di quel grande gioco che si chiama Vita.  Li cerchi ovunque, instancabilmente, senza sosta, e alla fine la tua voglia di imparare a giocare bene, la voglia sana, accompagnata da un altrettanto sano senso di riscatto, senza più rabbia e senza più smania di cercare colpevoli da accusare, prende finalmente il sopravvento e ti indirizza nei posti dove i Maestri li trovi davvero. Quelli bravi, quelli che parlano il tuo linguaggio, quelli che sanno toccare le corde giuste per insegnarti a giocare. Quelli che hanno il loro cuore costantemente a braccetto col loro cervello. Appaiono, come per incanto, quando sei pronta, restituendoti finalmente ciò che pensavi perduto per sempre: la tua identità autentica e originaria di bambina senza macchia e senza condizionamenti, come quando la vita ancora non aveva avuto tempo e modo di lasciare segni, come quando  la capacità e la voglia di giocare c'era, come quando i sogni non erano fughe ma viaggi avventurosi. Appaiono e ti insegnano. E tu non puoi fare altro che ringraziarli e iniziare a giocare.



Dedicato a tutti i bambini che non sanno giocare, a quelli che hanno imparato, e a tutti i Maestri che ho incontrato nella mia vita. Uno su tutti, Roberto. 

9 commenti:

  1. Be', inauguro i commenti. Direi che questo non è affatto "un pensiero inutile di una qualunque" ... ;-)

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    1. Grazie.... Spero davvero che a qualcuno serva.... :)

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  2. quel poco che ci siamo scambiati mi ha fatto capire che non sei stanca di giocare,che non vuoi che ti lascino vincere anche se giochi male,che non vuoi vincere con un poker d'assi servito.Ma che una partita a carte si possa vincere anche con l'abilità,se le carte non arrivano...con la pazienza,con la disciplina.So che hai imparato che nessuno ti deve nulla,neanche la tua vita.Osare..e dimenticare..la parte più bella del gioco. I miei complimenti a Alessandra Chiari Danilo Di Martino

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  3. Grazie Danilo! non ci vediamo da una vita e non abbiamo mai parlato tantissimo, quindi doppiamente grazie per quello che hai detto! :-)

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  4. O Chiari, piú cose imparo su di te, meno mi stupisco dell'intuizione felicissima che ho avuto quando ci siamo conosciuti, quasi mezza vita fa. Quella di avere di fronte una persona semplicemente bella, capace di condividere veritá profonde utilizzando la materia leggerissima di cui sono fatte le cose piú banali. Per questo ci capiamo al volo.
    Ti voglio bene
    Daniele

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  5. Mi hai emozionato Ale.... bellissime parole, mi hai colpito tantissimo. E mi hanno lasciato la voglia di leggerne ancora!
    Ti bacio!
    Ale Sani

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