lunedì 16 dicembre 2013
DA SOLI
Mi capita spesso, per lavoro, di pranzare da sola al bar e alle tavole calde. Non amo mangiare un panino in piedi al volo, lo faccio raramente e solo se strettamente necessario. Normalmente mi siedo e mi gusto un piatto caldo. Mi piace osservare le persone che, come me, siedono sole al tavolo a mangiare. Di solito sono più uomini che donne, ma indipendentemente dal sesso maschile o femminile, la sensazione è sempre la stessa, osservando queste persone e me stessa dall'esterno: una sensazione di profonda solitudine. Non so perché, ma osservando i volti di queste persone, con davanti il loro piattino di cibo, a prescindere dalla loro espressione felice o triste, percepisco un senso di solitudine estrema. Quella piccola porzione di tempo, quei trenta minuti che la persona si concede per nutrirsi, sono lo specchio di un'intera esistenza. In quei trenta minuti si è in mezzo alla folla, immersi in un via vai di persone prese dai propri pensieri e problemi, siamo tutti lì con lo stesso scopo, tutti insieme, eppure tutti soli. Ognuno solo con se stesso. Ognuno, in quei trenta minuti, si rende conto che, per quante persone abbia accanto a sé nella sua vita, per quanto possa condividere gioie e dolori con un numero piú o meno elevato di persone, arriva sempre quel momento in cui deve fare i conti, quelli veri, solo e soltanto con se stesso. Per quanto gli altri ci possano essere vicini, soli nasciamo e soli muoriamo. Quello che sentiamo, che proviamo, che sappiamo, il modo in cui lo sentiamo, lo proviamo e lo sappiamo, è solo e soltanto nostro. Gli altri ci possono ascoltare, capire, consolare, e possono gioire o rattristarsi con noi, ma non proveranno mai quello che proviamo noi in prima persona, neanche quando il dolore è comune. In quei trenta minuti davanti al piatto gli occhi fintamente impegnati ad osservare un po' di cibo sono in realtà smarriti in una consapevolezza di non poter contare davvero fino in fondo su nessuno se non su noi stessi. Trenta minuti in cui accanto a noi ci sono altre persone apparentemente nella nostra stessa situazione ma che in realtà hanno ognuna un mondo a sé. Un mondo fatto di tanti 'trenta minuti' in cui, qualunque sia la compagnia, siamo tutti intimamente e profondamente soli..
sabato 7 dicembre 2013
BABBO NATALE (non) ESISTE?
Ho sempre saputo che non esisteva, che erano i genitori e i parenti a delegare a una figura immaginaria le proprie responsabilità di fare felici i bambini a fine anno affidandosi ad una pietosa messinscena di cui si vergognavano loro per primi. Sono sempre stata una bambina precoce in tutto quello che riguardava la comprensione e l'intelletto, a differenza delle attività motorie in cui ero terribilmente in ritardo. Scrivevo e leggevo perfettamente già a quattro anni e nessuno poteva prendermi in giro. Non me lo potevo permettere. Non potevo permettermi di credere in qualcuno di cui non avevo mai sentito la voce, di fidarmi di qualcuno che non avevo mai visto. Sentivo di non potermi fidare fino in fondo neanche dei miei genitori, che conoscevo e vedevo ogni giorno. Figuriamoci di un Signor Babbo Natale qualunque. E comunque, a scanso di equivoci, nessuno aveva provato a farmi credere in questo vecchio signore dalla barba bianca, vestito di rosso. Provavo molta compassione per tutti i miei coetanei che credevano in questo tizio. 'Poverini', pensavo, 'li aspetta una grossa delusione. Quando scopriranno che non esiste sarà un trauma e capiranno quanto siano stupidi e quanto io sia intelligente.' Incredibile come la compassione verso gli altri negli anni si sia potuta tramutare in compassione verso me stessa, incredibile come quel senso di superiorità intellettiva si sia trasformato in senso di inferiorità emotiva. Incredibile come a un certo punto la bambina che non aveva mai creduto in niente si sia trasformata in una donna piena di rabbia, e ancor più incredibile come questa rabbia intossicante si sia infine trasformata in bulimica fame di vita, in forte voglia di rivalsa, in un sano desiderio incessante di sognare e di esaudire i propri sogni. Ho capito, negli anni, che Babbo Natale poteva esistere anche per me se solo ci avessi creduto, ho capito che avrebbe portato regali anche a me se solo li avessi chiesti e saputi aspettare. Bisogna credere nella magia affinché essa ci possa avvolgere, bisogna credere nei propri sogni affinché essi si avverino. Bisogna credere in Babbo Natale affinché arrivi e ci porti i regali. Ci vuole coraggio, per credere in ciò che sappiamo esistere solo nel nostro immaginario. Ci vuole coraggio per credere che il nostro immaginario sia l'anteprima della nostra realtà. Ci vuole un coraggio inaudito. Il coraggio di chi sogna e realizza i propri sogni, il coraggio di chi non si lascia scoraggiare dalla banale razionalità ed apparente evidenza, il coraggio di chi sa osare, di chi ci mette il cuore e di chi, quasi sempre, vince.
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